di
Emma Nuri Pavoni
La
quinta Conferenza Ministeriale del WTO, svoltasi in Cancun (Messico)
dal 10 al 14 settembre, si è chiusa con un fallimento, non avendo
raggiunto un accordo, tanto meno approvato una Dichiarazione Ministeriale.
E' la seconda volta nella storia dell'organizzazione che questo
succede: la prima fu a Seattle, alla fine del '99, dove il vertice
che doveva ridisegnare le regole del commercio mondiale fallì
sotto la spinta dei movimenti di piazza. Questo invece si potrebbe
definire un fallimento interno: riflette infatti la forte polarizzazione
delle visioni e delle posizioni che su molti temi (agricoltura,
accesso ai mercati non agricoli, sviluppo e alcuni di quelli proposti
alla prima Conferenza del 1996 in Singapore: investimenti all'estero,
politiche per la libera concorrenza, trasparenza negli appalti…)
dividono nettamente il Nord e il Sud del mondo. Le cause del collasso
sono molteplici e complesse. Nonostante quella immediata fosse
il non aver trovato un accordo sui temi proposti, è innegabile
che alla base ci sia un sistema difettoso nel modo di prendere
decisioni del WTO e nella forma con la quale organizza, dirige
e conclude le Conferenze. La Conferenza Ministeriale di Cancun
aveva come scopo principale quello di fare un bilancio dei progressi
realizzati nelle negoziazioni e riguardo agli obiettivi proposti
nel Programma di Doha per lo Sviluppo, adottato nel corso della
III Conferenza Ministeriale, svoltasi nella capitale del Qatar,
nel 2001. Queste negoziazioni, tra le quali spiccano quelle riguardanti
l'agricoltura e l'accesso ai mercati non agricoli, avrebbero dovuto
concludersi prima del 1 gennaio 2005. Al contrario, il vertice
è iniziato con un nulla di fatto riguardo al Programma di Doha,
dove figuravano in primo piano la riduzione delle forme di protezionismo
più dannose per il Terzo Mondo: le barriere doganali dei paesi
ricchi contro le importazioni agricole e di prodotti tessili.
Quello del protezionismo agricolo si può definire il maggior ostacolo
per i paesi in via di sviluppo, infatti i tre quarti della popolazione
di questi paesi sopravvive coltivando la terra. Per migliorare
la propria situazione e uscire dalla miseria, dovrebbero poter
vendere liberamente all'estero, ma le potenze industriali dei
paesi ricchi proteggono i loro prodotti con grandi sostegni economici.
Il primato di questo protezionismo spetta all'Unione Europea,
che elargisce, in media, 17.000 Euro l'anno a ciascuno dei suoi
agricoltori. Gli Stati Uniti fanno praticamente lo stesso, ma
attraverso un sostegno diretto al reddito dei propri contadini.
Le conseguenze, soprattutto degli aiuti europei e di quelli giapponesi,
si rilevano immediatamente negli elevati costi sul mercato interno,
che danneggiano tanto i consumatori, quanto penalizzano l'ingresso
dei prodotti del Sud del mondo. Forse, il maggior risultato della
Conferenza è stato il consolidamento del gruppo dei 20 paesi (chiamato
G 20+, perché il suo numero continuerà a crescere) che comprendendo
Brasile, Argentina, Egitto, India, Cina e Sudafrica, unirono le
forze per difendere gli interessi dei paesi in via di sviluppo
nelle negoziazioni multilaterali sul commercio. Nella conferenza
stampa fatta al termine della riunione, il cancelliere brasiliano
Celso Amorim disse: "usciamo più forti di come eravamo quando
arrivammo a Cancun". Cancun non è stata teatro solo di fallimenti,
al contrario i giorni precedenti alla Conferenza hanno visto un
forte movimento di coscientizzazione nel "Foro Internazionale
Contadino e Indigeno" svoltosi dall'8 al 10 settembre, al quale
hanno partecipato organizzazioni contadine e indigene provenienti
da tutte le regioni del mondo, conclusosi con la redazione di
un documento in cui viene espressa chiaramente la loro opposizione
ad una liberalizzazione selvaggia del mercato che aumenta il divario
tra Nord e Sud del mondo, affamando intere popolazioni.
Fuori
il WTO dall'agricoltura e dall'alimentazione.
1.
Esigiamo che l'Organizzazione Mondiale del Commercio esca dall'agricoltura.
Che l'alimentazione, così come la salute e l'educazione non siano
oggetto di accordi commerciali di cui beneficiano soltanto alcune
imprese transnazionali e che distruggono la nostra economia, la
vita e il futuro dei popoli indigeni, contadini e l'agricoltura
famigliare. La liberalizzazione commerciale dei prodotti agricoli,
ha favorito la crescita della povertà e la fame nel mondo. Mentre
il WTO e i trattati commerciali, favoriscono la liberalizzazione
dei mercati e l'eliminazione di barriere doganali, si mettono
barriere ai diritti di libero transito e manifestazione, come
è stato fatto frequentemente nelle riunioni di questo tipo e che
si nota in questi giorni a Cancun. 2. La sovranità alimentare
dei popoli deve essere il principio rettore delle politiche internazionali,
basato sul diritto dei popoli a produrre i propri alimenti in
modo sostenibile e d'accordo con le proprie tradizioni; e in concordanza
con la difesa delle risorse naturali e della biodiversità. 3.
Esigiamo che si stabiliscano con carattere urgente, politiche
e programmi di appoggio alla catena agroalimentare strategica
dei piccoli e medi agricoltori, allo scopo di proteggerli dall'assalto
delle imprese transnazionali. Così come, si adottino nuove politiche
pubbliche di ordinamento dei mercati agricoli, a livello nazionale
e internazionale, che contribuiscano a generare gli equilibri
adeguati nella produzione e la distribuzione degli alimenti; l'accesso
alla terra e ai territori dei popoli indigeni e contadini, perché
possano vivere con dignità. 4. Ci opponiamo all'importazione e
alla produzione di alimenti e sementi transgenici che mettono
in rischio la salute, alterano l'ecosistema, pregiudicano le nostre
sementi native e fomentano la dipendenza economica e tecnologica.
Al contrario di ciò che dicono le imprese transnazionali beneficiarie,
come la Monsanto, questi prodotti non risolvono il problema della
fame ma generano un monopolio dei semi e dei suoi prodotti. 5.
Respingiamo qualsiasi impegno o accordo internazionale che pretenda
appropriarsi delle conoscenze, delle risorse genetiche, delle
sementi, delle tradizioni e delle tecnologie contadine e indigene,
come pretende di imporci il WTO attraverso gli accordi sulla proprietà
intellettuale. Ci opponiamo a qualsiasi forma di brevetto sulla
vita, perché le sementi sono patrimonio dei popoli a beneficio
dell'umanità. 6. Ci opponiamo all'Accordo sui Beni e Servizi del
WTO che pretende privatizzare e mettere in mani straniere tutti
i beni pubblici. Difenderemo i nostri diritti, le nostre comunità
e nazioni, i nostri territori, suoli, acqua, boschi e risorse
naturali. Sosterremo la nostra lotta perché si diano migliori
e sufficienti servizi di educazione e di salute alle nostre popolazioni.
7. Invitiamo tutte le forze sociali della campagna e della città,
i governi e i legislatori a partecipare a questo grande sforzo,
per un altro mondo più giusto e umano, basato sulla costruzione
di un nuovo ordine mondiale alimentare che abbia come priorità
quella di abbattere la fame e garantire una vita degna per tutti
e per tutti una prospettiva di sovranità delle nostre nazioni.
Il fallimento di Cancun deve essere considerato un campanello
d'allarme per l'Organizzazione Mondiale del Commercio, infatti
continuare con questo sistema significa trasformare le Conferenze
in una specie di gioco d'azzardo, nel quale i paesi ricchi tentano
la sorte e utilizzano diversi sistemi per vincere con la forza,
e i paesi in via di sviluppo si organizzano per resistere alle
pressioni. Per questo è urgente trovare un metodo per trasformare
il WTO in una organizzazione che rispetti veramente i paesi poveri
e i loro obiettivi di sviluppo. Se questo non avvenisse ci sarà
sempre crisi e perdita di credibilità nel sistema. E i paesi sviluppati,
che si sono opposti al cambiamento, saranno quelli che dovranno
assumersene la colpa.
I
NUMERI DELLA POVERTA'
Sono
un miliardo le persone che, secondo la Banca Mondiale, vivono
oggi con meno di un dollaro al giorno. Sono due miliardi le persone
al mondo costrette a vivere con meno di due dollari al giorno.
E' di 50 miliardi di dollari la cifra che, secondo gli esperti,
sarebbe sufficiente a dimezzare la povertà entro il 2015.
I
NUMERI DEI SUSSIDI
E' di due dollari e mezzo il sussidio quotidiano che un allevatore
riceve per una mucca in Europa. E' di circa sette dollari, il
sussidio quotidiano per una mucca in Giappone. I sussidi europei
per l'export ammontano ogni anno a 2.800 miliardi di Euro: solo
Giappone e USA fanno altrettanto.
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