Se
n'è andato in punta di piedi, senza far rumore, come aveva
vissuto negli ultimi anni, da quando per età aveva rinunciato
a guidare la sua diocesi di Recife nel nordest del Brasile. Dom
Helder Camara, uno dei maggiori testimoni del nostro tempo quanto
alla scelta dei poveri, all'attuazione delle indicazioni del Concilio
Vaticano II per la riforma della Chiesa; promotore della Conferenza
Episcopale Brasiliana e con dom Manuel Larraín di quella
Latinoamericana, oppositore della dittatura militare in Brasile
e più in generale del sistema capitalistico per le conseguenze
che esso riversa sulle maggioranze impoverite, è stato
certamente una delle figure più discusse degli ultimi decenni,
dividendo l'opinione pubblica tra chi lo stimava e chi gli era
ferocemente avverso. Per questo appare quantomeno dubbio il silenzio
che ha accompagnato la sua scomparsa, fuori e dentro la Chiesa.
A giustificare tale censura, soprattutto se confrontata con l'enfasi
che ha accompagnato altri santi trapassi in questi ultimi tempi,
non può certo bastare il calo di interesse che aveva accompagnato
gli anni del suo ritiro, rendendo la notizia meno appetibile per
l'audience. Ancor meno tale silenzio si spiega in ambito ecclesiale.
Il vero motivo va' evidentemente cercato altrove, nella carica
profetica di Dom Heleder, che al pari di tutti i grandi profeti
inquieta anche da morto, cioè risorto, perché continua
a gridare il Vangelo con tanta forza di persuasione da non poterlo
ascoltare senza restarne sconvolti.
Così
eccoci a raccontarne la storia, perché la memoria si è
persa.
Dom Helder nacque a Fortaleza nel Nordest del Brasile il 7 febbraio
1909, da gente semplice e nobile d'animo allo stesso tempo. La
madre, maestra, donna di apertura mentale poco comune all'epoca,
lo cresce libero dai pregiudizi della cultura dominante, specialmente
di quella cattolica. Del suo insegnamento dom Helder ricorda:
"Un giorno - avevo sei anni - mi disse indicandomi il volto
"Figlio mio, incontrerai nella vita molte persone che ti
diranno che il viso è la vera creazione di Dio". Poi
indicando il petto: "Di questo, non si sa un granché
".
E, continuando ad indicare verso il basso: "Qui, invece,
dicono che sia il regno del diavolo. No, bambino mio! Dalla testa
ai piedi, tutto è stato creato da Dio". E ancora:
"Per mia madre, se c'è il male nel mondo, se esistono
persone cattive, è soprattutto a causa della debolezza
umana. Essa mi diceva: "Quando una persona sembra cattiva,
avvicinandola, cercando di conoscerla più a fondo, si finisce
per scoprire che si tratta di debolezza. Lo stesso Cristo, sul
Calvario, disse dei suoi carnefici: "Perdonali, Padre, non
sanno quello che fanno". Per il piccolo Helder questa fu
la prima scuola di antropologia e di teologia.
Il
padre, massone per tradizione famigliare, ma uomo di fede profonda
e sincera, sarà il primo ad indicare al figlio la natura
del suo sacerdozio: "Un giorno mio padre, poco favorevole
al mio progetto, mi domandò: "Ma lo sai che significa
veramente essere prete? Essere prete è rifiutare di essere
egoista. E l'Eucaristia? L'Eucaristia è il Cristo stesso.
Le mani che toccano direttamente il Cristo non possono essere
insudiciate dall'avarizia. Il prete dev'essere un uomo dalle mani
aperte, al servizio degli altri". "Padre, gli dissi
con emozione, è questo tipo di prete che voglio diventare".
"Mi guardò e aggiunse semplicemente: "Allora,
che Dio ti benedica
". Così dom Helder cresce
libero da ogni dogmatismo e pregiudizio moralista, capace di contemplare
in ogni uomo l'immagine riflessa di Dio e di mettersi al suo servizio.
Dopo il tempo del Seminario e l'ordinazione sacerdotale avvenuta
il 15 agosto 1931, festa dell'Assunzione di Maria, fu nominato
cappellano degli intellettuali e dei lavoratori a Fortaleza. E'
questo un periodo di vita nel quale è quasi impossibile
riconoscere l'uomo che sarà, a causa della formazione ricevuta
in seminario. "Venivamo destinati al servizio del popolo
dopo essere rimasti separati da esso per otto, dieci, dodici anni
La
formazione ricevuta aveva l'impronta della Controriforma: eravamo
soprattutto preoccupati di difenderci; conoscevamo a memoria tutte
le eresie passate e presenti. Uscii dal seminario con un'unica
e semplice idea in materia sociale: il mondo si divide in due
campi opposti, il capitalismo e il comunismo. Il comunismo ci
veniva presentato essenzialmente come nemico della religione e
della proprietà privata. Il capitalismo era il difensore
dell'ordine cristiano. Questo mi preparava ad impegnarmi in lotte
piuttosto ambigue". Così si impegnò in Ação
Integralista (Azione integralista), associazione di stampo fascista
in versione brasiliana, come segretario all'educazione, grazie
anche all'incoraggiamento del suo vescovo. Ma quando per dissensi
interni diede le dimissioni e fu chiamato alla Segreteria Federale
dell'Educazione, a Rio de Janeiro, dove sarà impegnato
per ventotto anni con i giovani studenti, ma anche con il popolo
delle favelas, ci penseranno questi ultimi a farsi carico della
sua rieducazione. Sono gli anni in cui crea la segreteria nazionale
dell'Azione Cattolica e ne diventa responsabile.
In
occasione dell'Anno Santo 1950 il Card. De Barros lo volle promotore
del Giubileo in tutto il Brasile. Memorabile restò, in
tale occasione, il viaggio organizzato a Roma con un bastimento
per il trasporto delle truppe ottenuto dal governo, dove trovarono
posto 1350 persone di ogni ceto sociale, fin'anche un gruppo di
prostitute. Se un simile sforzo esprimeva già inequivocabilmente
l'attaccamento filiale da egli provato nei confronti del papa,
sentimento conservato senza cedimenti per tutta la vita, ancor
più rivelava esplicitamente quella che sarebbe stata la
caratteristica principale di tutta la sua opera: riportare il
popolo alla Chiesa, consapevole che il popolo è la Chiesa,
anche quando così non appare. Rientrato in patria ottenne
la facoltà dalla Santa Sede di costituire la Conferenza
Episcopale Brasiliana ed in seguito, visti gli ottimi risultati
ottenuti con questa, di collaborare alla formazione della Conferenza
Episcopale Latinoamericana (CELAM). Nel 1955 fu tra i massimi
promotori del 36° Congresso Eucaristico Internazionale che
si celebrò a Rio. Uno dei frutti più significativi
di questo sforzo fu la costituzione a fine Congresso della Crociata
di san Sebastiano per lavorare a fianco del popolo delle favelas.
Iniziò donando tutto il legname che era servito per la
realizzazione del Congresso ai senza tetto, ma l'obiettivo principale
fu quello di sensibilizzare l'opinione pubblica. Con l'appoggio
del governo si arrivò persino a costruire dei veri e propri
stabili, muniti dei servizi minimi indispensabili. Dal 1958, quando
si celebrò la terza sessione del Consiglio Episcopale Latinoamericano,
papa Giovanni XXIII cominciò a sollecitare le chiese del
subcontinente a programmare la propria azione pastorale per rispondere
in modo adeguato alle sfide del tempo. E alle preoccupazioni pastorali
e paterne del papa si aggiunsero ben presto quelle più
diplomatiche e interessate del Vaticano, allorché il 1°
gennaio 1959 il trionfo della rivoluzione cubana di Castro e del
Che portò un fervore rivoluzionario di stampo marxista
in tutta la regione. Dom Helder, allora segretario del Conferenza
Episcopale Brasiliana, fu incaricato dal Card. Jaime Camara, che
ne era presidente, di predisporre un piano pastorale - ricordato
come il Piano d'emergenza del 1962 - da sottoporre all'approvazione
dell'intero consiglio nella sessione che si sarebbe celebrata
ad aprile del medesimo anno.
Aiutato
da validi collaboratori, scelti tra i più impegnati nelle
diverse attività pastorali, stese un documento, poi discusso
e approvato nella quinta Assemblea ordinaria della Conferenza,
la cui particolare peculiarità non fu, come ci si sarebbe
potuti aspettare, la condanna del regime cubano e più in
generale dell'ideologia marxista, ma delle condizioni di miseria
a cui il sistema capitalista condannava milioni di persone in
Brasile. Fatto ancor più sorprendente e significativo,
i vescovi giunsero persino a fare un'insolita autocritica: "Siamo
solleciti a combattere il comunismo, ma non sempre assumiamo identico
atteggiamento di fronte al capitalismo liberale. Sappiamo vedere
la dittatura dello Stato marxista, ma non sempre siamo sensibili
alla dittatura schiacciante della realtà economica o dell'egoismo
imperante nelle strutture attuali che sterilizzano i nostri sforzi
di cristianizzazione". Per la prima volta venivano considerate
parimenti realtà atee tanto il comunismo quanto il capitalismo,
e si auspicava un nuovo modello di organizzazione sociale: la
cosiddetta "terza via" o "solidarismo cristiano".
Per dare compimento a questi propositi, dom Helder fondò
il "Banco da Providencia", finalizzato alla concessione
di prestiti alle persone in difficoltà, e i cui utili servirono
a sostenere servizi di vario genere: sanità, ambiente,
istruzione, trasporti, orientamento professionale, assistenza
giuridica, disoccupazione (1.500 posti di lavoro nel 1963).
Era intanto iniziato il Concilio Vaticano II ed il 12 aprile 1964,
Paolo VI lo nominava vescovo di Olinda e Recife. La presenza di
dom Helder in Concilio fu tra le più operose pur nel nascondimento
totale.
Nel
corso delle quattro sessioni che composero il Concilio tra il
1962 ed il 1965, non prese mai la parola in aula né partecipò
al lavoro delle commissioni. Tesse invece una trama sottile e
sotterranea di incontri per favorire il dialogo tra i vescovi,
introdurre nel dibattito conciliare il problema della miseria
nel mondo e incentivare il processo di riforma della Chiesa stessa.
Era il "sacro complotto" come lui stesso, scherzando,
lo definiva. Anzitutto cercò l'appoggio di personalità
che godevano di un certo prestigio come il Card. Veuillot, presidente
della conferenza episcopale francese, il Card. Liénart
di Lille e il Card. Silva Henriquez del Cile, perché le
liste per la costituzione delle undici grandi commissioni, redatte
strategicamente prima dell'inizio dei lavori per condizionarne
l'orientamento, venissero respinte ed il Concilio Ecumenico risultasse
veramente opera del collegio episcopale e non della Curia romana.
Fu poi promotore, tra gli altri, del gruppo della "Chiesa
dei poveri", una quarantina di vescovi dei cinque continenti
che a margine dell'Assise conciliare si riunivano presso il Collegio
belga, sotto la presidenza del Card. Gerlier, a volte del patriarca
Maximos IV e infine del Card. Lercaro di Bologna - appositamente
incaricato da Paolo VI che guardava con simpatia ed interesse
agli incontri del gruppo - per riflettere sul rapporto tra Cristo
e i poveri, e la necessità per la Chiesa di conformarsi
al Cristo povero, liberandosi da ogni compromesso terreno. In
quelle riunioni dom Helder propose persino che in Concilio i posti
d'onore fossero riservati ai poveri di Roma.
Il
16 novembre 1965 il gruppo si radunò nelle Catacombe di
Santa Domitilla fuori Roma per sottoscrivere un patto di Chiesa
povera al servizio dei poveri, formulando il voto di spogliarsi
dei simboli del potere sacro e di lasciare i palazzi episcopali,
una volta rientrati ai loro paesi, per poter condividere con maggiore
verità la condizione degli ultimi. Voto che dom Helder
puntualmente compierà lasciando l'episcopio di Recife per
una più modesta casetta, che abiterà per il resto
della vita. Per la celebrazione di chiusura del Concilio, dom
Helder propose due gesti molto significativi. Convinto che: "Noi,
gli eccellentissimi, abbiamo bisogno di eccellentissime riforme.
Finiamola con il vescovo-principe che abita in un palazzo, isolato
dal suo clero. Il prete deve sentire in noi il buon pastore, il
padre, l'emulo di Colui che è venuto, non già per
essere servito, ma per servire", propone di "sopprimere
i nostri titoli personali: Eminenza, Beatitudine, Eccellenza;
rinunciamo a motti e blasoni che ci fanno passare per nobili
perché delle scarpe con fibbie d'argento? Perché
una croce episcopale e un anello di materia preziosa?
Andremo
a deporre ai piedi del Santo Padre le nostre croci episcopali
d'oro e d'argento per riceverne altre in bronzo o in legno, come
segno di chi si decide ad adottare uno stile di vita conforme
alla semplicità evangelica. Sarebbe forse per noi, vescovi
del mondo intero, un modo di aiutare il Vicario di Cristo a emanciparsi;
giacché - bisogna avere il coraggio di riconoscerlo - lo
splendore del Vaticano è di intralcio. La Provvidenza ci
ha liberati dagli stati pontifici. Quando scoccherà l'ora,
per la Chiesa di Cristo, di ritrovarsi con madonna Povertà?".
L'altra attenzione è rivolta allo spirito Ecumenico tra
le chiese cristiane e a quell'ecumenismo più grande che
abbraccia i credenti di tutte le religioni. Per questo propone
che entro la chiusura del Concilio i capi di tutte le religioni
fossero riuniti in piazza San Pietro per una preghiera veramente
ecumenica: così non fu, ma precorrendo i tempi anticipò
nel sogno quel che sarebbe successo ad Assisi il 27 ottobre 1996.
Tornato da Roma si immerse profondamente nel lavoro pastorale
della sua poverissima diocesi, senza per questo trascurare le
relazioni con il resto della Chiesa e del mondo, che visitò
con continui viaggi. Uno dei primi problemi affrontati fu quello
della distribuzione delle terre dell'Arcidiocesi, vero cruccio
per le chiese nel momento in cui, assumendo seriamente l'impegno
della giustizia e delle riforme sociali, si trovavano a fare i
conti con i benefici accumulati dai tempi della conquista a danno
della popolazione più povera. Altri grandi vescovi latinoamericani,
quasi sconosciuti in Europa, si posero lo stesso problema e restituirono
le terre di proprietà ecclesiale sottratte illegalmente
alla popolazione nel corso degli anni. Tra loro il più
significativo fu Leonidas Proaño, vescovo di Riobamba in
Ecuador, il quale, restituite le terre a cooperative di campesinos,
abbandonò pure l'episcopio e indossando il poncho indigeno
andò ad abitare in un piccolo villaggio vicino alla sua
sede vescovile. A lui certamente dom Helder si ispirò quando
si convinse che la riforma agraria in Pernambuco dovesse cominciare
dalle terre di proprietà della Chiesa. Per questo ordinò
un rapporto dettagliato sulla situazione catastale: "Voglio
urgentissimamente un rapporto su tutte le terre della santa Chiesa.
Ci muoveremo nel senso di una programmazione capace di liberarci
a brevissima scadenza dei nostri Stati pontifici
In Svizzera
ci sono amici disposti a creare un fondo alternativo che permetta
di congiungere all'assegnamento di terre un'assistenza tecnica,
finanziaria, sociale
".
Nel
campo della riflessione teologica, pur non essendo teologo in
senso stretto, fu tra i promotori e maggiori sostenitori di quella
che sarà poi detta "Teologia della Liberazione"
e delle Comunità Ecclesiali di Base. Prese parte alla fondazione
del SUDENE (Sovrintendenza per lo Sviluppo del NORDEST) e del
MEB (Movimento per l'Educazione di Base). Di fronte alla dittatura
che salì al potere con un colpo di stato pochi giorni prima
della sua nomina, il 1° aprile del 1964, ebbe sempre un atteggiamento
fermo di denuncia, soprattutto verso la pratica della tortura,
delle sparizioni e degli omicidi politici, tanto in patria quanto
nei paesi visitati. Si attirò così l'inimicizia
di molti ed una serie di minacce di morte. Il suo dito fu puntato
principalmente contro ogni sistema economico che degrada la dignità
delle persone, negando loro le pur minime necessità per
la sopravvivenza. Concretamente, in Brasile denunciò il
sistema capitalista e la politica economica delle grandi multinazionali.
Diverse furono le battaglie a questo proposito, dentro e fuori
i confini nazionali, che gli procurarono una serie di incomprensioni
all'interno della stessa Chiesa. Sebbene la fedeltà e l'amore
mostrato costantemente nei confronti dei papi, fu corrisposto
dalla fiducia e dal sostegno di questi, specialmente da Paolo
VI, gli ultimi anni furono comunque segnati da una sorta di censura
nei suoi confronti. Se ancora negli anni settanta i giornalisti
facevano a gara per avere una sua intervista, fino a togliergli
il respiro, ed era tra i personaggi più discussi nei salotti
dell'intelligence europea, come pure nelle comunità ecclesiali,
in seguito sulla sua persona calò il sipario, cioè
"passò di moda"! In realtà a passare di
moda furono, nella cultura, quegli ideali a cui aveva consacrato
la vita, e nella Chiesa le aspirazioni del Concilio Vaticano II.
Farlo
tacere, reprimerlo, dimenticarlo, divenne quindi una necessità,
per acquietare la coscienza. Ricordare dom Helder significava
e significa ricordare gli ideali traditi, il Concilio incompiuto,
il debito mai estinto verso i poveri, quel confronto con il Cristo
povero e crocifisso, che al di là dei discorsi ufficiali,
la Chiesa che si appresta ad entrare nel terzo millennio, non
vuole affrontare fino in fondo; fino alle radici stesse della
povertà, che si possono bene individuare e denunciare,
magari nei testi ufficiali, ma mai perseguire fino in fondo perché
sono le radici stesse del nostro prestigio. Dom Helder ebbe a
dire a questo proposito: "quando davo da mangiare ai poveri
dicevano che ero un santo, da quando ho iniziato a chiedermi:
"perché ci sono i poveri?" mi han dato del comunista".
Quel che spaventa è dunque l'analisi della realtà
nelle sue cause più profonde e sono gli uomini che hanno
avuto il coraggio di affrontarla a fare paura. Meglio altri santi
che nella loro mistica, senz'altro autentica ed eroica, non mettono
in pericolo la nostra coscienza. Così dom Helder se n'è
andato in silenzio. Qualche semplice trafiletto di rito per uno
dei più grandi protagonisti del Concilio e della sua tentata
attuazione. Nessuna di quelle parole che ci saremmo aspettati
da Giovanni Paolo II, così prodigo nel proporre alla venerazione
dei fedeli i testimoni del nostro e di altri tempi.
Pazienza!
Chissà se anche questa voluta omissione, con tutto quel
che significa, entrerà nel calderone dei peccati di cui
la Chiesa chiederà solennemente perdono durante l'Anno
Santo del Giubileo! Certamente nella sostanza restano tentativi
di rimozione ingenui e puerili, ignari dell'antico monito di Gamaliele:
"Se infatti questa teoria o questa attività è
di origine umana, verrà distrutta; ma se venisse da Dio,
non riuscirete a sconfiggerli; non vi accada di trovarvi a combattere
contro Dio!" (At 5,38-39).
Alberto
Vitali
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