di
Emma Nuri Pavoni
L'immensa
Amazzonia, grande polmone della Terra, ha una disgrazia: è una
regione troppo piena di ricchezze nascoste per poter sopravvivere
impunemente. Circa 400 popoli indigeni abitano ancora nell'ecosistema
dell'Amazzonia Sudamericana, con una ricchezza di linguaggi, culture
proprie e biodiversità inaccessibili e irriconoscibili da una
grande percentuale di società non indigene. Ciò nonostante, il
collasso ecologico di questo complesso habitat, secondo le previsioni,
subisce un implacabile attacco paragonabile a un processo di neocolonizzazione.
Ogni anno si ritiene sia "il più alto" nel fenomeno della deforestazione:
nel 1990, 11 mila chilometri quadrati vennero distrutti, sei anni
dopo la distruzione salì ha 18 mila chilometri quadrati. Secondo
Nigel Sizer del WRI (World Resources Institute) il Brasile riuscì
a ridurre la deforestazione da 21 mila chilometri quadrati nel
1980 a 11 mila chilometri quadrati nel 1990, grazie al contributo
di 250 milioni di dollari assegnatoli dal Gruppo dei 7, per ridurre
il collasso ecologico. Se tale contributo fosse garantito annualmente,
almeno 64 mila chilometri quadrati verrebbero preservati per i
popoli indigeni. Ma per limitare il collasso dell'Amazzonia non
sono sufficienti gli investimenti che privilegino un solo paese:
occorre considerare questo ecosistema in tutta la sua variata
complessità, anche esistenziale delle popolazioni native. La perdita
dei territori da parte dei popoli indigeni in Brasile è tale che
nel 1995 tra i Kaiowá (Un sottogruppo Guaraní) si registrarono
cifre elevate di suicidi presumibilmente dovuti alla perdita di
terre, che dal 1945 si erano ridotte da 402.325 chilometri quadrati
ad appena 276 chilometri quadrati. Esistono circa 25.000 Kaiowá,
di cui oggi circa 6.000 vivono in soli 25 ettari. Processi simili
di espropriazione della terra per deforestazione avvengono anche
nei paesi confinanti della conca amazzonica: le tre Guyane, il
Venezuela, la Colombia, Il Perù, l'Ecuador e la Bolivia. Il Venezuela,
ad esempio, ha uno dei tassi più alti di deforestazione dell'America
Latina e perde circa 500 mila ettari per anno. Solo 18 milioni
dei 50 milioni di ettari sono protetti per essere stati dichiarati
parco nazionale ed esistono soltanto due riserve della biosfera.
In 13 milioni di ettari si incrementa l'estrazione controllata
delle risorse del sottosuolo, ciò nonostante né la riforestazione
né il piano di conservazione alternativo sono parte del patto
di estrazione. Nel Venezuela esistono 28 popoli indigeni e circa
19 nazioni indigene affiliate all'ORPIA (Organizzazione Regionale
dei Popoli Indigeni dell'Amazzonia, fondata nel 1993). Il governo
venezuelano del presidente Hugo Rafael Chavez persiste nell'eseguire
il decreto 1850 di "Ordinamento e Regolamento dell'uso della Riserva
Forestale Imataca" che prevede l'estensione dell'elettricità nello
stato amazzonico del Bolivar, dopo la divisione politico territoriale
dell'Amazzonia. Ma i popoli indigeni Pemon, Akawaio, Kariña e
Warao della Sierra Imataca, Gran Sabana e Rio Paragua, continuano
la loro protesta contro tale decreto che considerano lesivo. Essi
vorrebbero piuttosto correggere, per renderlo applicabile, il
decreto 169, che garantisce la loro sopravvivenza come società
indigene. Tale decreto di cui il Venezuela è firmatario non è
stato però ratificato nel corso di questo anno. Le comunità indigene
sollecitano che la Nuova Costituzione che si elaborerà in Venezuela
"Garantisca il rispetto e il non intervento nelle terre indigene
ed i diritti sui territori come dettano diversi strumenti giuridici
internazionali sottoscritti dal Venezuela". Nell'Amazzonia Colombiana
il dibattito relativo alla deforestazione ha raggiunto il culmine
nella prima parte del 1999 essendosi prodotti in quel periodo
molteplici conflitti che colpirono varie nazioni indigene. I problemi
riguardano la presenza dei paramilitari, guerriglie associate
al narcotraffico e una persistente assistente militare all'esercito
colombiano da parte degli Stati Uniti. Società indigene come gli
Uwa, gli Emberá, gli Guaymí, gli Inganos e gli Kunas, poco familiarizzati
con il resto del mondo, hanno sofferto gravi ripercussioni che
vanno dall'occupazione dei loro territori da parte dei militari,
dei narcotrafficanti e guerriglieri (naturalmente non tutti contemporaneamente)
fino alle minacce fisiche che ricevono continuamente da loro.
In Ecuador una vera coscienza ecologica e una riflessione sul
processo di deforestazione dell'Amazzonia nacquero nel 1997, in
seguito all'espulsione dal paese delle grandi imprese transnazionali
Mitsubishi e Toisan-Range. La loro estesa presenza fu associata
all'estinzione di circa 10.000 specie di piante che crescevano
nella foresta e che sarà difficile reintrodurre. Tanto la perforazione
petrolifera quanto le esplorazioni alla ricerca di miniere di
rame rappresentano minacce costanti per il bosco delle province
del Chocó e del Intag, che confina con l'habitat degli Indios
della Colombia; inoltre circa il 9% del territorio dell'est ecuadoriano
è stato deforestato per la creazione di piantagioni di banano
e palma per la produzione di olio. Da tempo in Ecuador alcune
ONG portano avanti un lavoro di denuncia contro il Progetto Junin
per lo sfruttamento minerario, patrocinato dal governo e da transnazionali
come Mitsubishi e Bishimetals. Dallo studio sull'impatto ambientale
preparato dall'agenzia giapponese Metal Mining si seppe che se
non si fossero opposte a tale progetto, si sarebbero registrati,
una deforestazione massiva e gravi livelli di inquinamento di
diversi fiumi con piombo, arsenico, cadmio, cromo, rame e nitrati.
Si sarebbero inoltre avuti impatti negativi su trenta specie in
pericolo di estinzione, su intere comunità indigene locali e sulla
riserva ecologica Cotacachi-Cajapas una delle più ricche del mondo.
In alternativa alla realizzazione del progetto Junin, in Chocó
e in Intag si sviluppano forme alternative che rifiutano la miniera
quale forma occupazionale per le comunità locali e si incrementa
l'agricoltura sostenibile con coltivazioni organiche di caffè
che permettono una articolazione controllata dalla produzione
fino al mercato. Contemporaneamente si pensano nuovi progetti
sostenibili come la riforestazione di alberi nativi, il turismo
ecologico l'artigianato, l'amministrazione comunale dei boschi
e dei fiumi. Dal 1997, in Perù, il Consiglio Machiguenga di Rio
Urubamba (COMARU), che rappresenta 35 comunità della valle del
Rio Urubamba, riconosciute dal decreto legge 22175 (legge delle
comunità native e dello sviluppo agrario della selva), continua
a difendere il proprio territorio contro l'incursione della petrolifera
Shell. Se questa continuasse con le operazioni di sfruttamento
ed esplorazione del terreno alla ricerca del petrolio sui lotti
avuti in concessione dallo stato, 13 comunità locali vedrebbero
compromessa la loro sopravvivenza. Secondo la denuncia di Walter
Vargas Pereyra, esponente del COMARU, già si riscontrano proporzioni
inammissibili di Cadmio, Mercurio e residui di grassi negli affluenti
del fiume Camise. Nell'Amazzonia boliviana i livelli di deforestazione
sono egualmente implacabili. Secondo il Centro di Studi Giuridici
e Investigazioni Sociali, nonostante l'esistenza di decreti a
protezione dell'Amazzonia che presumibilmente collaborerebbero
a regolare le relazioni tra le società indigene ed il governo,
questi non sono stati attuati. Si scopre, per esempio, l'esistenza
di 85 nuove concessioni per il taglio del legname, 27 delle quali
nei territori indigeni riconosciuti dal governo boliviano. Il
caso boliviano è singolare: nonostante il governo abbia promulgato
leggi in difesa dell'ecologia, la mancanza di capacità per la
loro realizzazione supera il desiderio della protezione ambientale.
In flagrante violazione del Decreto 169 approvato con carattere
di legge dallo stato, il sovrintendente dei boschi utilizzò arbitrariamente
la sua investitura, ignorando la responsabilità legale internazionale
e concedendo permessi di disboscamento alle ditte del legname.
Le concessioni eliminarono 500 mila ettari del territorio Guarayo,
140 mila del territorio Chiquitano del Monte Verde, più di 15
mila del territorio Yaminahua - Machineri, più di 17 mila del
territorio multietnico, più di 28 mila del territorio e del Parco
Nazionale Isibori Sécure: in totale 700 mila ettari di territorio
indigeni riconosciuto dalle istituzioni nazionali e internazionali.
Nella maggioranza di questi casi, le divisioni artificiali delle
nazioni confinanti con il sistema ecologico dell'Amazzonia hanno
contribuito visibilmente a deforestare l'area. Paradossalmente
nel contesto della globalizzazione neoliberale, i popoli indigeni
finiscono per essere accusati d'essere la causa del collasso ecologico
dell'Amazzonia, sebbene, nonostante la sua grandezza ambientale,
l'Amazzonia sia una delle ecologie più fragile e ha mantenerla
viva siano proprio i popoli indigeni che l'abitano da millenni.
Perciò in Amazzonia in altri sistemi ecologici occupati dai popoli
indigeni si dovrebbe applicare la nuova mozione giuridica di "Diritto
Immemore ai Territori".
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